L’espressione tenere la candela – o nelle forme più colloquiali fare la candela/reggere il moccolo – è molto utilizzata in italiano per indicare la condizione imbarazzante del “terzo” che si trova in compagnia di due persone che stanno chiaramente flirtando o scambiandosi tenerezze.
Ma da dove viene questo modo di dire, e come si è stratificato nel tempo?
Per risalire all’origine, bisogna tornare a epoche in cui la notte era severamente oscura: prima dell’elettricità, attraversare uno spazio buio – vicoli, orti, cortili – comportava reali rischi di smarrimento o incontro di pericoli. Per chi voleva partecipare a incontri amorosi clandestini, la notte era l’unico copertura possibile, ma anche un ostacolo: come arrivare senza essere visti o perdere la strada? In questo contesto, il signore (o l’amante) avrebbe potuto farsi accompagnare da un servo fidato che teneva un lume o una torcia (la “candela”), attendendo in disparte finché l’appuntamento amoroso si concludesse e poi riportando il padrone indietro attraverso il buio. Il servo, dunque, era colui che reggeva la candela: il guardiano silenzioso e fidato del momento amoroso.

L’autore Domenico Ascione richiama una testimonianza attribuita allo studioso Pico Luri da Vassano, che sosteneva: «il servo dovea tenere il lume, vedere, ed essere muto e anche sordo».
Il valore metaforico è evidente: chi “regge la candela” non partecipa, ma assiste (o subisce) una scena intima altrui, restando passivo e un po’ imbarazzato.
Altra suggestiva ipotesi collega l’espressione al rito nuziale ebraico: i novelli sposi, sotto il huppàh (la sorta di baldacchino con cui si simboleggia l’abitare coniugale), avrebbero avuto accanto al loro matrimonio un fratello dello sposo con una torcia accesa, per illuminare la scena e dare protezione simbolica. In effetti, anche in questo caso di imbarazzo doveva essercene a iosa…

Con il tempo, poi, l’evoluzione linguistica ha fatto sì che l’elemento materiale (la candela, il lume) sia diventato metafora vivida della terza presenza in un contesto affettivo– il cosiddetto terzo incomodo! – fino a che l’espressione ha superato i suoi presupposti storici e tecnici per inserirsi nel lessico colloquiale nazionale, ma anche estero.
Infatti, possiamo trovare il corrispettivo estero in almeno tre lingue:
– Inglese, con to be the third wheel (essere la terza ruota);
– Spagnolo, con hacer la tercera (essere il terzo);
– Francese, con faire tapisserie (fare da tappezzeria, essere presente ma non coinvolto).
Così, dietro una frase apparentemente semplicissima, si cela un frammento di vita quotidiana d’un tempo – lumi notturni, segrete complicità, servi fedeli -che ha saputo trasformarsi in immagine linguistica persistente: “tenere la candela” significa ancora oggi essere il terzo incomodo illuminato (ma non partecipe) di un sentimento in scena.

