La pandemia di COVID-19 ha inciso profondamente non solo sulle nostre abitudini, ma anche sulle modalità con cui comunichiamo. A quasi cinque anni dall’inizio di questo evento straordinario, è interessante osservare come il linguaggio si sia adattato, riflettendo nuove realtà sociali, culturali e cognitive.
Uno degli effetti più immediati è stata la nascita di un nuovo lessico. Espressioni come distanziamento sociale, quarantena, smart working, lockdown e contagio sono entrate stabilmente nel vocabolario quotidiano. Più che semplici etichette, questi termini hanno riformulato il nostro modo di percepire le relazioni, lo spazio e il tempo. La lingua, come organismo vivo, ha risposto con prontezza a una crisi globale, dimostrando la sua intrinseca flessibilità.
Non è raro che termini un tempo relegati a contesti specialistici — come mascherina FFP1/2/3, asintomatico o positività — abbiano conosciuto una nuova diffusione, talvolta con significati ampliati o adattati. Si tratta di un esempio di riattivazione lessicale, fenomeno per cui parole poco usate o tecnicismi riemergono nell’uso comune, spesso in seguito a eventi sociali di grande impatto.

Parallelamente, l’accelerazione dell’uso delle tecnologie digitali ha modificato profondamente le pratiche comunicative. Piattaforme come Zoom o Teams sono diventate ambienti relazionali alternativi, introducendo formule nuove (ci vediamo in videochiamata, ti mando il link) e rinnovando l’interazione anche attraverso segnali non verbali digitali, come emoji e abbreviazioni. Si è così affermata una comunicazione più immediata, informale e visiva.
Un altro fenomeno rilevante è stato il diffondersi di espressioni collettive di solidarietà e resilienza: frasi come siamo tutti sulla stessa barca o andrà tutto bene hanno svolto una funzione coesiva, contribuendo a costruire un senso di appartenenza anche in condizioni di isolamento. È grazie a quelle frasi spesso urlate dai balconi che il linguaggio ha offerto un rifugio simbolico, una forma di prossimità emotiva in assenza di contatto fisico.

Purtroppo, però, non sono però mancati aspetti problematici. Il lessico pandemico ha talvolta assunto toni divisivi, in particolare nei dibattiti su vaccini, restrizioni e libertà personali. Il linguaggio si è fatto campo di battaglia ideologico, rivelando la sua capacità di unire, ma anche di polarizzare. In questo contesto, la diffusione di disinformazione ha sottolineato il ruolo cruciale della linguistica nella decodifica del discorso pubblico e nella promozione di una comunicazione consapevole.
Paradossalmente, ciò che doveva dividerci ci ha unito, e ciò che doveva unirci ci ha diviso.
E a distanza di cinque anni, la nostra lingua se lo ricorda ancora.

