Immaginate di trovarvi in un piccolo borgo piemontese di montagna, seduti al tavolo di un’osteria, intenti a gustare un bicchiere di Barolo. I clienti sono gli stessi di sempre, giocano a carte seduti intorno ad un tavolino e parlano in dialetto.
All’improvviso, uno dei commensali chiede al barista : “Me das n’aransà?” [ Mi dai un’aranciata? ] e indica anche la sua marca di aranciata preferita.
Eppure, nonostante la richiesta sia comprensibile, il barista rimarrà probabilmente per un attimo perplesso, non perché non capisca il significato della parola, ma semplicemente perché nel dialetto locale, quel termine non esiste, visto che aransà è spesso legato al succo di arancia o alla spremuta.

L’aranciata, intesa come bibita gassata, si è infatti affermata massicciamente solo nel XX secolo, mentre i dialetti del Piemonte, per fare un caso concreto, sono nati molti anni prima, quando ancora l’Italia nemmeno esisteva come nazione, perciò ancora oggi presentano espressioni più generiche per indicare bevande a base di frutta.
Allo stesso modo, il termine “champagne” non trova un corrispettivo diretto in molti dialetti della stessa regione, dove si preferisce riferirsi a prodotti tipici come il Barolo o l’Asti spumante, sicuramente già conosciuti in epoca antica rispetto alla costosa variante con le bollicine.

Questo è solo uno dei tanti esempi che ci mostra come i dialetti italiani, pur essendo affascinanti e ricchi di storia, presentino un vocabolario molto diverso da quello della lingua nazionale. Parole comuni e quotidiane per noi, come “champagne”, “sushi” o “sandwich”, di fatto non hanno un corrispettivo diretto nelle varianti linguistiche locali, così come termini più moderni quali “hamburger”, “avocado” e “quinoa”, spesso assenti nei dialetti tradizionali.

Ma perché accade questo? Cosa si cela dietro questa mancanza di corrispondenza lessicale tra dialetti e lingua standard?
Per comprendere a fondo questo fenomeno, dobbiamo immergerci nell’affascinante mondo delle origini e dell’evoluzione di queste lingue locali.

Uno studio approfondito, pubblicato sulla prestigiosa rivista Lingua*, ha messo in luce due fattori principali che spiegano questa peculiarità dei dialetti italiani.

In primo luogo, molti degli alimenti e delle bevande “più ricchi” di cui oggi disponiamo si sono diffusi sulla scena nazionale ed internazionale solo in tempi relativamente recenti. Di conseguenza, i dialetti, che sono profondamente radicati nella cultura e nella tradizione locale, non hanno avuto la necessità di sviluppare termini specifici per indicarli, perché semplicemente non esistevano al momento dello sviluppo del dialetto.

Il secondo fattore è legato alla specializzazione semantica dei dialetti. Queste varianti linguistiche, infatti, tendono a riflettere maggiormente la cultura, le tradizioni e le realtà produttive tipiche di un determinato territorio. Di conseguenza, prodotti importati o meno radicati nella tradizione locale non trovano un immediato corrispondente lessicale. Ad esempio, in alcuni dialetti non esiste un termine specifico per “banana” ma nemmeno per “computer” , “telefono cellulare” o per il verbo “chattare” per cui vengono semplicemente adottati i termini italiani o inglesi.

Allo stesso modo, immaginatevi di trovarvi in un piccolo paese della Sicilia e di voler ordinare del “sushi” utilizzando il dialetto.
Ebbene, è molto probabile che il ristoratore locale capisca perfettamente il significato di quella parola, ma non abbia un termine equivalente nel suo dialetto per indicare quel piatto tipico della cucina giapponese. Al suo posto, troverete probabilmente vocaboli dialettali che si riferiscono a pietanze tradizionali della zona, come la pasta câ Norma [pasta alla Norma] o  U piscispata a gghiotta [pesce spada alla messinese].
Queste due pietanze, infatti, hanno origini antiche che si legano anche al periodo di sviluppo e diffusione del dialetto siciliano, ed è quindi normale che abbiano un loro lemma equivalente anche nell’antica lingua del popolo.

Che si tratti di un piatto locale, di un prodotto o di un oggetto presente da tempo nel territorio, abbiamo capito che tutto ciò che esiste da sempre, è sicuramente incluso nel dialetto della nostra regione o città.
In caso contrario, la sua presenza anche tra i lemmi dialettali dipende soprattutto dall’evoluzione della lingua del posto e dalla diffusione di quel dato piatto/prodotto nel tempo.

E’ per questo che il mondo dei dialetti italiani è un affascinante scrigno di diversità linguistica, che ci offre uno sguardo unico sulla storia, le tradizioni e la visione del mondo di specifiche comunità. E proprio questa ricchezza si riflette anche nell’assenza di alcune parole, che ci ricorda quanto la lingua sia intimamente legata alla cultura di un luogo.

Allora, la prossima volta che vi troverete in un piccolo borgo di campagna, non stupitevi se non troverete un corrispettivo dialettale per l'”aranciata” o il “sushi”. Anzi, cogliete l’occasione per scoprire i tesori nascosti in quella variante linguistica: chissà, forse troverete un nuovo termine altrettanto affascinante!

https://www.sciencedirect.com/journal/lingua è una prestigiosa rivista internazionale di linguistica pubblicata in lingua inglese fondata nel 1949 ed edita da Elsevier, una delle principali case editrici scientifiche a livello mondiale.


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Rosy M. - Italy
Rosy M., è laureata in Lingue per i Rapporti Internazionali d'Impresa. Attualmente svolge il ruolo di Tutor Linguistico, mettendo a frutto la sua competenza nelle lingue. Appassionata di viaggi e amante degli animali, Rosy unisce la sua passione per la cultura internazionale con l'amore per la natura.